La natura di Hezbollah (in arabo حزب الله) – letteralmente “Partito di Dio” – sfugge a catalogazioni univoche, manifestando una complessità che è diretta conseguenza degli articolati scenari in cui l’organizzazione agisce e che dipende in ultima istanza anche dal punto di vista di chi valuta e giudica. Al riguardo, la posizione delle Nazioni unite (1997), dell’Unione europea (2013), degli Stati Uniti e di diversi paesi occidentali è chiara: il ramo militare del gruppo è da considerarsi a tutti gli effetti un’organizzazione terroristica. Spostandosi altrove – in Iran, ad esempio – la prospettiva cambia però radicalmente, ed ecco allora che Hezbollah diventa una forza di resistenza contro l’occupazione israeliana in Libano. Una disamina puntuale non può tuttavia che partire dal riconoscimento delle caratteristiche fondamentali di tale entità: aderente all’islam sciita, Hezbollah è in primo luogo un partito politico e una forza paramilitare libanese, le cui milizie sono tra le più potenti del Medio Oriente. Oggi come nel recente passato, esso è capace di esercitare una particolare influenza sui delicati equilibri del paese dei cedri, a causa di una serie di eventi che si sono succeduti sin dalla fondazione del movimento nel 1982.
Prima di tutto, è essenziale un dato di contesto: in Libano vige un sistema di governo e amministrativo di tipo confessionale, in cui cioè la distribuzione del potere avviene sulla base della confessione religiosa. Per comprendere dunque la ratio che anima l’azione di Hezbollah e approfondire i rapporti che l’organizzazione è capace di coltivare con la comunità sciita libanese, non si può prescindere da un’analisi della situazione socio-politica locale, anche attraverso una disamina di carattere storico. In tale cornice, una figura di particolare rilevanza fu quella di Musa al-Sadr, leader religioso e politico nato nel 1928 in Iran ma di famiglia originaria della regione libanese del Jabal Āmil. Dopo aver completato un percorso in studi religiosi e uno in studi economici presso l’università di Teheran, il chierico si stabilì nel 1959 in Libano, paese in cui nel corso degli anni Sessanta iniziò a emergere una nuova élite politica e finanziaria, e fra i giovani imperversava – sull’esempio di altri Stati della regione – l’ideologia del nazionalismo panarabo propugnata dal presidente egiziano Gamal Abdel Nasser. In questo scenario, al-Sadr divenne subito un punto di riferimento per la popolazione sciita, che denunciava una sistematica oppressione: nel 1969, il leader religioso assunse dunque la guida del Supremo consiglio islamico sciita, istituito due anni prima per promuovere gli interessi degli aderenti a tale confessione religiosa, mentre nel 1974 fondò il Movimento dei diseredati (in arabo الحركة المحرومين), con l’obiettivo di alleviare le condizioni di povertà degli sciiti e assicurare loro i medesimi diritti delle comunità musulmane sunnite e cristiane maronite presenti nel paese. All’interno del movimento, nel corso dell’anno successivo, si sviluppò anche il braccio armato Amal(acronimo dell’arabo أفواج المقاومة اللبنانية, “Gruppi della resistenza libanese”), orientato alla protezione degli sciiti da minacce interne ed esterne al Libano: tra queste emergeva in particolare, dopo un’iniziale collaborazione tra le parti, l’OLP – ossia l’Organizzazione per la liberazione della Palestina – che utilizzando il territorio libanese come base per le sue schermaglie con Israele metteva di fatto a rischio l’incolumità degli sciiti residenti nelle zone di scontro.
Nel 1976, a causa di divergenze sulla natura e sulla direzione che avrebbe preso la guerra civile in corso in Libano (1975-1990), al-Sadr prese le distanze da un raggruppamento rilevante nella vita politica del paese, il Movimento nazionale libanese guidato da Kamal Jumblatt, che sosteneva la lotta armata contro lo status di cui beneficiavano i cristiani maroniti e supportava le fazioni palestinesi impegnate nel contesto del conflitto. Dall’altra parte invece, il leader religioso sciita si preoccupava degli interessi e della sicurezza della sua comunità, che non intendeva coinvolgere in una guerra su larga scala. Nel 1978, tuttavia, al-Sadr scomparve misteriosamente durante una visita ufficiale in Libia per incontrare il colonnello Muammar Gheddafi: Tripoli sostenne che il chierico e la delegazione che lo accompagnava avevano già lasciato il paese per recarsi in Italia, ma le autorità italiane hanno più volte smentito questa versione. Gli sciiti si videro dunque privati di una leadership carismatica, proprio nell’anno in cui Israele invase il sud del Libano provocando numerosi morti e migliaia di sfollati: così nel 1979, nella parte meridionale del paese ampiamente popolata da sciiti, ebbe modo di affermarsi l’Esercito del Libano del sud (in arabo جيش لبنان الجنوبي, South Lebanon Army), una milizia cristiana maronita finanziata e addestrata da Israele, il cui leader Saad Haddad proclamò l’istituzione dello Stato libero del Libano.
Nel 1980, la guida di Amal fu assunta da Nabih Berri, che optò per una trasformazione del movimento in senso populista e si fece promotore sia di istanze laiche a favore della conservazione dell’integrità nazionale, sia di una profonda riforma dello Stato libanese. Nel 1982, all’indomani della seconda invasione israeliana del Libano, Berri aderì al Comitato di salvezza nazionale promosso dal presidente Elias Sarkis, mentre nel 1984 – anche per porre fine all’egemonia dei cristiani maroniti in Libano – partecipò alla formazione di un governo di unità nazionale presieduto da Rashid Kharami. In coalizione con il Partito socialista progressista (Psp), allora guidato dal politico druso Walid Jumblatt, e grazie al sostegno della Siria le cui forze stazionavano in territorio libanese già dal 1976, Amal riuscì così ad assumere il controllo di Beirut occidentale.
Dal 1985 al 1988, l’apparato militare del movimento combatté la “Guerra dei campi” contro l’OLP, che dopo aver lasciato il Libano nel 1982 stava cercando di ristabilirsi nel Paese. In questa fase, la frattura all’interno del fronte sciita si era già consumata: da una parte Amal, dall’altra – a sostegno dei miliziani palestinesi – Hezbollah.
Delusi dalla svolta imposta da Berri e sull’onda degli eventi accaduti a Teheran nel 1979, militanti sciiti avevano infatti deciso di allontanarsi da Amal e fondare nel 1982 Hezbollah, con l’obiettivo primario di difendere il territorio libanese dall’invasione israeliana. Grazie a una serie di iniziative militari condotte soprattutto da combattenti reclutati tra giovani sfollati, la nuova organizzazione riuscì in breve tempo a conquistare un certo seguito: in tale processo di crescita e consolidamento, decisivo fu il contributo assicurato dall’Iran e dal Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica (in persiano سپاه پاسداران انقلاب اسلامی, Islamic Revolution Guard Corps), con cui gli sciiti libanesi – a partire dal sostegno assicurato dai leader di Amal alla rivoluzione del 1979 – avevano stretto solide relazioni. Personalità di particolare rilievo come Ahmad Khomeini, figlio del leader rivoluzionario Ruhollah, erano infatti state addestrate con le milizie attive in Libano, e successivamente avevano fatto ritorno in Iran per occupare cariche importanti nel nuovo regime. Tuttavia, la neonata Repubblica islamica non poteva fare esclusivamente affidamento sul supporto di Amal per esportare gli ideali della rivoluzione, tanto più se Amal non abbracciava totalmente un modello teocratico come quello proposto dal Velayat-e-Faqih (in persiano ولایت فقیه, letteralmente “Tutela del giurisperito”): Musa al-Sadr aveva infatti sostenuto una forma di islam politico che integrasse elementi di democrazia e pluralismo, e non l’esercizio di un potere centralizzato sotto l’autorità di un giurisperito. In questa cornice venne dunque a crearsi la saldatura tra l’Iran ed Hezbollah: da quel momento in poi, il movimento libanese avrebbe ricevuto da Teheran quel supporto logistico ed economico che gli consentì di trasformarsi da semplice milizia in attore essenziale nella vita politica, sociale ed economica del paese dei cedri.
La rivalità tra Amal ed Hezbollah, che provocò tra le due fazioni regolari scontri, raggiunse il suo apice alla fine degli anni Ottanta, con il conflitto per la supremazia nel Libano meridionale che si concluse nel novembre 1990 con un accordo tra le parti mediato da Siria e Iran. Nel 1989, il partito Hezbollah elesse il suo primo segretario generale, Subhi al-Tufayli, che rimase in carica fino al 1991; quindi, al suo posto fu designato uno dei cofondatori del movimento, Abbas al-Musawi, che fu tuttavia ucciso l’anno successivo nel sud del Libano dai missili lanciati dagli elicotteri apache israeliani. La leadership dell’organizzazione fu dunque affidata ad Hassan Nasrallah, rimasto in carica per più di 30 anni fino alla sua morte avvenuta lo scorso 27 settembre in un raid compiuto su Beirut dalle forze di Tel Aviv. Gli anni Novanta segnarono un grande cambiamento nella politica di Hezbollah, che venne sempre più riconosciuto come forza di “azione nazionale” da molti libanesi. L’organizzazione rafforzò la sua rete di assistenza sociale soprattutto nelle aree più in difficoltà del paese, costruendo ospedali, scuole e altre infrastrutture, offrendo posti di lavoro e sicurezza pubblica, sviluppando meccanismi di welfare per sostenere le famiglie più povere o vittime della guerra, nonché stanziando risorse e aiuti finanziari per la ricostruzione delle aree distrutte dai conflitti.
A consolidare ulteriormente il consenso attorno al movimento contribuì poi il ritiro – nel maggio del 2000 – delle truppe israeliane dal Libano meridionale: di fatto, l’obiettivo per cui il “Partito di Dio” era nato. A fronte di tale risultato, Hezbollah – che quasi vedeva venir meno le ragioni fondative della sua esistenza – si trovava dunque davanti a due opzioni: focalizzarsi sulla questione palestinese, continuando così la lotta contro Israele, oppure dedicarsi eminentemente alla politica interna, nell’ottica di una piena “libanizzazione” del partito.
Annalisa Calì